[FanFiction Contest] Anatroccoli e Cigni – Agnese

Anatroccoli e Cigni

 

Ripensò ai suoi vestiti, agli abbinamenti azzardati. La t-shirt a fiori rosa sbiadita quattro volte più grande del dovuto, i pantaloni della tuta, i calzini spesso spaiati, il cappotto scozzese con i fiocchetti…

Ripensò alle enormi scarpe da ginnastica logore col feltro.

Ripensò ai suoi capelli cortissimi e scuri, alle ginocchia ossute in contrasto con gli short extralarge rosa e verdi.

Ripensò agli intervalli passati a leggere mentre le altre giocavano in cortile, alle merendine che nessuno voleva scambiare con lei.

Le venne una gran voglia di piangere.

Affondò la faccia nel cuscino che abbracciava ogni notte.

Chiuse gli occhi stracolmi di lacrime.

Era stanca, voleva dormire, interrompere quei pensieri che le pesavano sul cuore come macigni.

Eppure non ci riusciva.

E non era per via del caldo afoso, o il rumore incessante delle auto sotto casa.

Risentì le risatine nei corridoi al suo passaggio.

Ripensò alle cugine che la ignoravano, al lavoro part time dei genitori, mai a casa.

Proprio come in quel momento. Era sola, completamente sola, in una casa fin troppo grande.

Lentamente sollevò la testa per guardare l’orologio. Era l’una di notte. La la sera prima l’aveva passata in discoteca con le amiche. Quella mattina a scuola sarebbe crollata se non avesse dormito almeno quattro ore.

Già, quella mattina.

La mattina in cui avrebbe dovuto consegnare il progetto di arte che nemmeno aveva iniziato.

Un progetto semplice: bisognava solamente illustrare una favola, a tecnica libera.

Ma era a coppie e, per un qualche crudele scherzo del destino, la professoressa le aveva assegnato l’ultima che avrebbe voluto come compagna: Ambra.

Ambra, il motivo per cui aveva passato notti insonni come quella, seduta a gambe incrociate sul suo letto a baldacchino a fissare la finestra senza vederla veramente.

Ambra, quella bambina bionda e riccia che era in classe con lei alle elementari.

Quella bambina con i capelli sempre spettinati e l’apparecchio ai denti. Che se ne stava  rannicchiata in un angolo e guardava gli altri giocare insieme con gli occhi gonfi di lacrime di rabbia. Che suo fratello picchiava. Che lei avrebbe potuto “salvare”.

Questo pensiero la faceva sentire in colpa. Faceva parte del suo carattere, lei “salvava” sempre tutti. Come aveva salvato violet dalla timidezza, iris dalla sua reputazione di svampita.

Ma a quei tempi era diversa, pensava solo a se stessa.

Lei e Ambra erano entrambe sole, scartate, escluse.

Erano due brutti anatroccoli.

Poi verso la fine delle medie qualcosa era cambiato, entrambe si erano trasformate in cigni, non solo fisicamente. Certo, lei non indossava più le scarpe e i vestiti smessi delle sorelle dopo l’aumento di stipendio dei suoi genitori, aveva i capelli lunghi e lucenti e aveva anche cominciato a truccarsi un po’, con risultati tutt’altro che scarsi. Certo, Ambra era riuscita a domare la sua chioma crespa e cespugliosa e aveva tolto l’apparecchio. Ma con il loro aspetto era cambiato anche il loro carattere. In modo completamente diverso l’una dall’altra.

Quando non sei stato amato, o ami con tutto te stesso per non far sentire gli altri come ti sentivi tu, o diventi fredda e insensibile.

E purtroppo ambra, al contrario suo, era diventata di ghiaccio. Non aveva amici veri ne un ragazzo che le durasse più di una settimana. Non si affezionava a nessuno.

Lei era diventata come le protagoniste dei suoi racconti: sciolta, solare, sempre disposta ad ascoltare.

Ambra come le barbie con cui giocava tutta sola.

Era così, non poteva farci niente e lo sapeva bene, ma ci soffriva lo stesso. Non c’era notte che non ci ripensasse.

Se solo avesse provato a rivolgere la parola ad Ambra un qualsiasi giorno di quegli otto anni. Se solo l’avesse aiutata a cercare i quaderni che i compagni le nascondevano…

Se non fosse stata così testarda… Continuava a ripetersi che i suoi libri le bastavano, che non le serviva nessuno. Chi voleva prendere in giro?

Solo se stessa.

Diede un altra occhiata all’orologio. Le due meno un quarto.

Non si sarebbe più addormentata senza un aiuto. In casa non c’erano sonniferi quindi decise di prepararsi una tisana calda.

Si alzò attraverso al buio la camera e cerco a tastoni l’interruttore della luce della cucina.

Versò dell’acqua in un pentolino che sistemò sulle fiammelle azzurre e si lascio sprofondare nel moderno divano di pelle bianca in attesa che bollisse. Strizzò gli occhi diverse volte infastidita dalla luce fredda del neon e si guardò attorno annoiata. Il tavolino di cristallo lucidò le restituì un immagine sbiadita della coda spettinata in cui raccoglieva i capelli prima di dormire e la vestaglia di pizzo viola stropicciata.

Quella mattina oltre che di un doppio caffè avrebbe avuto bisogno di un intero flacone  di correttore, si disse guardando i segni viola sotto gli occhi.

Tirò un lungo sospiro e si ritrovò nuovamente a pensare ad Ambra, al troppo trucco che portava.

Si immaginò una ambra con la faccia pulita, i capelli raccolti, e vestiti semplici e comodi, magari consigliati da lei. Una Ambra  con cui passare i pomeriggi a mangiare schifezze e guardare film in Tv. Non che lei non amasse le feste e lo shopping, ma voleva immaginare una Ambra completamente diversa.

Una ambra che sorridesse spesso, non solo nelle  valanghe di selfie che era solita a postare.

Da piccola non sorrideva mai, per non mostrare i denti storti.

Un po come lei, che cercava di coprire i vestiti con il cappotto altrettanto orrendo.

Improvvisamente le venne un idea.

Si alzo e si diresse meccanicamente ai fornelli, li spense e versò l’acqua già quasi completamente evaporata nel lavandino. Voleva essere perfettamente sveglia.

Corse in camera e accese tutte le luci, poi cominciò a frugare con foga nello zaino ancora mezzo vuoto, maledicendo tutto quello che le passava per la mente quando non trovava qualcosa.

L’album, quello grande, la gomma, la matita normale, quelle colorate, gli acquerelli…

Eccolo, Un pennello malconcio.

Aveva tutto.

Comincio a lavorare, ci passò tutta la notte. Cancellando in continuazione, strappando e rifacendo lo stesso disegno più volte.

Quando suonò la sveglia, sul pavimento disseminato di ogni genere di materiale artistico e fogli appallottolati, disposte accuratamente sul tappeto candido chiazzato di tempera c’erano sette illustrazioni tutte diverse, ma che riguardavano quasi tutte lo steso soggetto.

Una papera adulta, con quattro piccoli tutti uguali e due anatroccoli particolarmente brutti, che di solito stavano in disparte in un angolo del laghetto, così incredibilmente dettagliato.

Le ultime due illustrazioni invece riguardavano due grossi cigni, uno bianco e uno nero, con due piccole coroncine poggiate sulle teste.

Accovacciata davanti alle illustrazioni, una ragazza dai lunghi capelli lucenti raccolti in una coda spettinata tirò fuori dall’astuccio un pennarello nero indelebile e, con la mano leggermente tremante firmò l’ultima immagine a nome suo e di Ambra.

Anche se Ambra non aveva fatto niente, voleva condividere il merito con lei. Dopotutto, quella idea le era venuta pensando a lei, a loro.

Fatto da: Ambra e Rosalya.

Perfetto, si disse.

Sbadigliò sonoramente e si lasciò cadere sul fresco pavimento lucido, sfinita ma soddisfatta.

Ancora non sapeva che da lì a poche ore quei disegni avrebbero ottenuto il massimo dei voti e un posto nella mostra scolastica annuale.

Sapeva solo di doversi sbrigare, o sarebbe arrivata a scuola tardi.

Con un sospiro rassegnato si alzò e dopo aver indossato qualcosa pescato a caso dall’armadio -ottenendo comunque un outfit molto carino- raggiunse in fretta la scuola camminando decisa sui tacchi alti,  orgogliosa del suo lavoro.

Chissà, magari Ambra l’avrebbe ringraziata…

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